Quando nel 1925 venne prodotta la Leica I introducendo il formato 135 i fotografi ebbero a disposizione un apparecchio estremamente sofisticato per l'epoca, dotato di sistema telemetrico in grado di mettere a fuoco con la massima precisione. Ancora oggi, parlando di fotocamere a telemetro, viene spontaneo l'accostamento alla famosa marca tedesca, tutt'ora produttrice di apparecchi telemetrici come la Leica M7, MP o la recentissima MA. Naturalmente vi sono altri produttori che forniscono apparecchi a telemetro, sia nel settore delle "compatte" che nel medio formato (vedi gli esempi di Zeiss, Fujifilm e Voigtländer).
Una macchina a telemetro è facilmente distinguibile poiché presenta due finestrelle nella parte superiore del frontale: una riguarda sia il telemetro sia il mirino vero e proprio (di tipo galileiano) ed è presente con foro passante, consentendo al fotografo di inquadrare attraverso di essa. L'altra, invece, riguarda esclusivamente il telemetro.
In alcune fotocamere a telemtro sono presenti nel mirino delle cornicette per compensare l'errore di parallasse |
Il telemetro
Per una macchina sofisticata come la Leica M7 si possono impiegare più di cento componenti per la sola costruzione del telemetro meccanico. Semplificando al massimo, vediamo che il funzionamento prevede l'utilizzo di un prisma e di un deviatore fisso del raggio da esso proveniente. Il prisma è collegato all'obiettivo e subisce spostamenti quando questo viene fatto ruotare per mezzo della ghiera di messa a fuoco. Il fotografo, al centro del mirino, vede inizialmente una figura sdoppiata che però viene ricomposta in un'unica immagine quando l'obiettivo è regolato alla giusta distanza dal soggetto inquadrato (una rappresentazione schematica del telemetro è visibile in questo post precedente). Un sistema alternativo può analogalmente fornire un'immagine spezzata anziché sdoppiata.
Telemetro di una Ferrania Condor I (1948) |
Telemetro di una Minolta Hi-Matic F (1972) |
Pro e contro
A favore degli apparecchi a telemetro vanno annoverati:
- l'estrema precisione della messa a fuoco in tutte le operazioni di ripresa;
- il mirino luminoso (poiché non è condizionato dalla presenza del diaframma);
- la compattezza e la leggerezza di corpi macchina
- la silenziosità d'uso e la quasi totale assenza delle vibrazioni dell'otturatore.
- l'errore di parallasse, che consiste nella mancata coincidenza tra ciò che il fotografo vede attraverso il mirino e quello che l'obiettivo effettivamente inquadra e registra sulla pellicola ed è dovuto alla mancata coincidenza tra l'asse ottico dell'obiettivo e quello del mirino. Tale effetto si evidenzia soprattutto con riprese ravvicinate o comunque quando nella stessa inquadratura sono presenti soggetti vicini e lontani dal momento che viene sfalsata la relazione tra di essi. L'errore di parallasse è praticamente assente invece nelle foto paesaggistiche. Bisogna comunque dire che con gli anni, grazie anche all'uso dell'elettronica, si sono raggiunte soddisfacenti correzioni.
- il mirino, la cui visione non aderisce completamente alla reale inquadratura entra in crisi soprattutto con i potenti teleobiettivi ed i grandangolari. Per ottenere piena soddisfazioni in questo tipo di richiesta si deve indirizzarsi in questo tipo di richiesta si deve indirizzarsi verso apparecchi di tipo reflex, che sono il prossimo argomento.