venerdì 29 ottobre 2021

Lezioni di fotografia #42 - La profondità di campo (parte I)


“A cosa serve la profondità di campo se non esiste un’adeguata profondità di sentimento?”

-William Eugene Smith (1918-1978)


La profondità di campo è un elemento di fondamentale importanza nella riuscita di un’immagine fotografica. Che effetto ci farebbe una nostra foto ricordo che ci ritrae in un luogo bellissimo ed a noi caro, se lo sfondo fosse così sfocato da risultare pressoché illeggibile? Eppure, quando si utilizza una fotocamera automatica, si rinuncia al controllo personale dell’immagine affidandosi alla bontà delle impostazioni di fabbrica, che possono però avere altre priorità, come il blocco totale del movimento. Per definizione, si può allora intuire che:


La profondità di campo è lo spazio (la distanza) entro il quale ciò che è inquadrato risulta ragionevolmente a fuoco.



 

Esaminando il disegno, vediamo una fotocamera, l’angolo di campo che ne definisce l’inquadratura ed il punto A su cui si effettua la messa a fuoco. Ora, nelle diverse condizioni operative, ci sarà sempre una zona intorno al punto A (che resta comunque il vero punto di fuoco), dove i soggetti inquadrati B risulteranno sufficientemente a fuoco. Questa zona, a parte casi particolari, si estende per 2/3 del totale dietro il punto A e per 1/3 davanti, come è esplicitato in figura. Ciò che è interessante, a questo punto, è che il fotografo, mediante scelte operative, può incidere su questa zona, determinandone una maggiore o minore estensione. La profondità di campo dipende da tre fattori:

Se si suppone che l’ottica e la distanza siano già state scelte per questioni compositive, non resta che intervenire sulla regolazione del diaframma. Perché proprio il diaframma? È molto semplice, perché:


La profondità di campo aumenta se si chiude il diaframma 


Esempio di bassa profondità di campo: il soggetto principale, il volto di Giove, risulta a fuoco, mentre lo sfondo no. La foto è stata scattata con un obiettivo 50mm a f/1.4

Da quanto affermato si capisce che la condizione operativa con minore profondità di campo si ha con il diaframma regolato alla massima apertura. Spesso questa è una condizione subita, determinata dalla scarsità della luce, ma può essere una valida scelta se si desidera isolare il soggetto dallo sfondo, per attribuirgli maggiore importanza. Il caso più frequente riguarda i ritratti

La maggiore profondità di campo si ottiene viceversa con il diaframma alla massima chiusura, ed la condizione ideale per i paesaggi, purché si sia muniti di treppiede, visto che i tempi di esposizione saranno conseguentemente lunghi.

Oltre a questi casi limite, ci si trova spesso nella condizione di poter scegliere tra un tempo più breve o un diaframma più chiuso e la scelta consapevole produrrà immagini più vicine al nostro desiderio o come direbbe Ansel Adams, «alla nostra previsualizzazione». 

Prossimamente vedremo come i vari obiettivi si comportano in maniera diversa di fronte alla profondità di campo.



Esempio di ampia profondità di campo: è possibile notare anche i particolari più piccoli presenti negli elementi dello sfondo. La foto è stata scattata con un obiettivo 28mm a f/16



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