lunedì 1 dicembre 2014

Lezioni di fotografia #21 - Le macchine a telemetro

 
Quando nel 1925 venne prodotta la Leica I introducendo il formato 135 i fotografi ebbero a disposizione un apparecchio estremamente sofisticato per l'epoca, dotato di sistema telemetrico in grado di mettere a fuoco con la massima precisione. Ancora oggi, parlando di fotocamere a telemetro, viene spontaneo l'accostamento alla famosa marca tedesca, tutt'ora produttrice di apparecchi telemetrici come la Leica M7, MP o la recentissima MA. Naturalmente vi sono altri produttori che forniscono apparecchi a telemetro, sia nel settore delle "compatte" che nel medio formato (vedi gli esempi di Zeiss, Fujifilm e Voigtländer). 
Una macchina a telemetro è facilmente distinguibile poiché presenta due finestrelle nella parte superiore del frontale: una riguarda sia il telemetro sia il mirino vero e proprio (di tipo galileiano) ed è presente con foro passante, consentendo al fotografo di inquadrare attraverso di essa. L'altra, invece, riguarda esclusivamente il telemetro.

In alcune fotocamere a telemtro sono presenti nel mirino delle cornicette per compensare l'errore di parallasse

Il telemetro
Per una macchina sofisticata come la Leica M7 si possono impiegare più di cento componenti per la sola costruzione del telemetro meccanico. Semplificando al massimo, vediamo che il funzionamento prevede l'utilizzo di un prisma e di un deviatore fisso del raggio da esso proveniente. Il prisma è collegato all'obiettivo e subisce spostamenti quando questo viene fatto ruotare per mezzo della ghiera di messa a fuoco. Il fotografo, al centro del mirino, vede inizialmente una figura sdoppiata che però viene ricomposta in un'unica immagine quando l'obiettivo è regolato alla giusta distanza dal soggetto inquadrato (una rappresentazione schematica del telemetro è visibile in questo post precedente). Un sistema alternativo può analogalmente fornire un'immagine spezzata anziché sdoppiata.

Telemetro di una Ferrania Condor I (1948)

Telemetro di una Minolta Hi-Matic F (1972)

Pro e contro
A favore degli apparecchi a telemetro vanno annoverati:
  • l'estrema precisione della messa a fuoco in tutte le operazioni di ripresa;
  • il mirino luminoso (poiché non è condizionato dalla presenza del diaframma);
  • la compattezza e la leggerezza di corpi macchina
  • la silenziosità d'uso e la quasi totale assenza delle vibrazioni dell'otturatore.
Questi elementi hanno fatto sì che i modelli più evoluti siano diventati abituali nell'attrezzatura di chi effettua fotografie istantanee, soprattutto qualora di voglia passare il più possibile inosservati o dove non è possibile recare disturbo nell'ambiente di ripresa (teatri, meeting...). A sfavore del sistema telemetrico vanno ricordati:
  • l'errore di parallasse, che consiste nella mancata coincidenza tra ciò che il fotografo vede attraverso il mirino e quello che l'obiettivo effettivamente inquadra e registra sulla pellicola ed è dovuto alla mancata coincidenza tra l'asse ottico dell'obiettivo e quello del mirino. Tale effetto si evidenzia soprattutto con riprese ravvicinate o comunque quando nella stessa inquadratura sono presenti soggetti vicini e lontani dal momento che viene sfalsata la relazione tra di essi. L'errore di parallasse è praticamente assente invece nelle foto paesaggistiche. Bisogna comunque dire che con gli anni, grazie anche all'uso dell'elettronica, si sono raggiunte soddisfacenti correzioni.
  • il mirino, la cui visione non aderisce completamente alla reale inquadratura entra in crisi soprattutto con i potenti teleobiettivi ed i grandangolari. Per ottenere piena soddisfazioni in questo tipo di richiesta si deve indirizzarsi in questo tipo di richiesta si deve indirizzarsi verso apparecchi di tipo reflex, che sono il prossimo argomento.





mercoledì 5 novembre 2014

Lezioni di fotografia #20 - Il mirino



Le macchine fotografiche di piccolo e medio formato si differenziano anche in base al mirino utilizzato per l'inquadratura. Distinguiamo principalmente due tipologie di mirino:

  • Fotocamere a mirino separato 
  • Fotocamere a mirino reflex

La prima tipologia possiede un sistema di inquadratura separato dall'obiettivo e gli apparecchi più sofisticati di questa categoria adottano un mirino a "telemetro" che garantisce una messa a fuoco con estrema precisione. 
Le fotocamere reflex monobiettivo permettono invece di vedere l'immagine attraverso l'obiettivo utilizzato per la ripresa col vantaggio, rispetto al mirino separato, di una coincidenza perfetta tra ciò che si inquadra e ciò che si fotografa.
Nei prossimi articoli conosceremo più da vicino che cosa sono le macchine a telemetro e i sistemi reflex monoculari e biottici.




martedì 30 settembre 2014

Intermezzo dieci - 100 More Years of Analogue Film




In un momento così difficile per tanti, quando l’economia globale vacilla e le persone rimangono senza lavoro e senza reddito è ammirevole vedere la forza di volontà che spinge alcuni imprenditori a rimettere in piedi una produzione su scala mondiale. 

Sto parlando della forza di Nicola Baldini e Marco Pagni, i due protagonisti che nel corso del 2013 hanno rilevato gli impianti della Ferrania Technologies S.p.a. con l’obiettivo di rilanciare la produzione di pellicola analogica nel mondo. Insieme ad un team di esperti ed ex-dipendenti della storica azienda savonese che in un articolo passato ho scherzosamente chiamato “eroi dell’analogico”, la nuova FILM Ferrania si sta preparando a fare il grande balzo per ritornare competitiva sul mercato. 

Ma non è facile. 

Non lo è specialmente se pensiamo che gli impianti della ex-Ferrania erano progettati per funzionare 24 ore su 24 e sette giorni su sette. Oggi, grazie al Laboratorio Ricerche Fotografiche (LRF) che ingloba un mini-impianto di produzione del film è possibile produrre piccole quantità di materiale sensibile senza dover rimettere in funzione tutti gli stabilimenti... che verranno smantellati entro la fine del 2014!

L’appello di Marco Pagni e di Nicola Baldini è semplice: «Aiutateci a salvare l’analogico!»
Con una piccola donazione tramite il programma di crowdfunding “Kickstarter”, FILM Ferrania potrà ripartire più velocemente e con fondamenta solide.

Naturalmente, ci sarà anche una ricompensa per chi decidesse di contribuire alla raccolta dei fondi... i dettagli sono pubblicati sulla pagina ufficiale
Cosa aspetti a dare il tuo contributo? Io l'ho già fatto! FILM Ferrania ti aspetta. 

#FilmIsAlive


AGGIORNAMENTO DEL 29/10/2014

Con $322,420 Ferrania ha superato i $250,000 prefissati come obiettivo, con un successo pari al 128%.


 

giovedì 28 agosto 2014

Lezioni di fotografia #19 - L'obiettivo


L'obiettivo è il cuore di un sistema fotografico e influenza attivamente sulla qualità dell'immagine più di qualunque altra innovazione tecnica. Dal semplice foro stenopeico dei primi rudimentali modelli di camera obscura fino ai più recenti strumenti ottici, i produttori si sono costantemente impegnati per migliorare la qualità e la versatilità degli obiettivi. 



Ma che cos'è un foro stenopeico? Si tratta di un foro estremamente piccolo in grado di far passare i raggi provenienti dal soggetto inquadrato in modo selettivo: si può dire che sia l'antenato del moderno obiettivo. Con un'apertura maggiore del foro, i raggi passerebbero in modo disordinato senza formare l'immagine fotografica. 
Grazie all'ausilio di lenti, l'obiettivo è in grado di formare un immagine nitida con aperture molto maggiori, ottenendo tra l'altro una notevole diminuzione del tempo di posa (la luce viene filtrata e corretta attraverso i vetri ottici).
Togliendo l'obiettivo dalla macchina fotografica non è possibile ottenere un immagine fotografica ma solamente un'esposizione della pellicola alla luce. 
Le fotocamere, a seconda del modello, possono avere un'ottica fissa o intercambiabile, come ad esempio il sistema reflex che analizzeremo in seguito. In questo secondo caso il sistema fotografico risulta sicuramente più versatile e completo. Inoltre, si ricorda che alcuni apparecchi con obiettivo fisso possono essere muniti di ottiche zoom che permettono di ottenere buoni risultati senza dover ricorrere a sistemi con ottiche intercambiabili.  

Il diaframma
I moderni obiettivi sono dotati di un dosatore di luce chiamato diaframma. Collocato circa al centro dello schema ottico, è oggi comunemente impiegato il modello "a iride", formato da un numero di lamelle variabile da cinque ad otto, che ne danno la forma caratteristica da pentagonale a ottagonale. 
I primi sistemi disponevano di una serie di piastrine con fori circolari da applicare manualmente all'obiettivo, regolandone la sua luminosità e quindi l'apertura del diaframma. Il diaframma svolge una duplice funzione:
  • regola l'esposizione della pellicola (insieme all'otturatore)
  • conferisce all'immagine una forte caratterizzazione relativa all'estensione delle zone messe a fuoco. Tale caratteristica è definita profondità di campo.
Il diaframma viene indicato con la lettera f seguita da un valore numerico che ne indica l'apertura (es.: f/11 è un diaframma chiuso, f/5.6 è un diaframma di media apertura, f/1.4 un diaframma aperto, e così via). Dopo aver tenuto in considerazione questo importante aspetto sull'apertura del diaframma possiamo quindi concludere che maggiore sarà il valore del diaframma, minore sarà la sua apertura e, di conseguenza, la luce che passerà entro la nostra lente sarà minore. Gli obiettivi con una grande apertura del diaframma (f/1.4, f/1.2, f/0.95, ecc.) sono più costosi, perché richiedono una progettazione ottica piuttosto complessa. Il vantaggio è presto detto: in condizioni di luce critica riusciremo a fare una foto esposta correttamente solamente utilizzando un obiettivo luminoso oppure utilizzando un tempo di posa piuttosto lungo.
La scelta del diaframma da utilizzare costituisce uno dei momenti più delicati della ripresa fotografica poiché tale scelta influenza sia la profondità di campo sia l'esposizione dell'immagine e va quindi ponderata molto attentamente prima di procedere con lo scatto.








martedì 8 luglio 2014

Lezioni di fotografia #18 - Tempi di esposizione

I tempi di esposizione seguono una regola semplicissima: ogni doppio tempo è considerato un valore base così come la metà di un altro. Nelle macchine fotografiche troveremo perciò i seguenti tempi espressi in secondi: 

Tempi lenti
      ⬆︎
          B («Bulb» o tempo variabile)
      ⎜    1"
      ⎜    1/2"
      ⎜    1/4"
      ⎜    1/8"
      ⎜    1/15"
      ⎜    1/30"
      ⎜    1/60" (tempo minimo consigliato per evitare il micromosso senza treppiede)
      ⎜    1/125"
      ⎜    1/250"
      ⎜    1/150"
      ⎜    1/1000"
      ⎜    1/2000"
      ⎜    1/4000"
      ⎜    1/8000"
      ⬇︎
Tempi veloci

Per ragioni di spazio, nelle fotocamere i suddetti valori vengono riportati senza la frazione per cui 1/125", ad esempio, viene visualizzato solo come 125. Le macchine recenti possono offrire tempi più brevi, oggi fino a 1/8000" ed anche il controllo di tempi lunghi oltre 1". 
Mancando quest'ultima opzione, si può utilizzare la "posa B" (Blub) che consente di mantenere aperto l'otturatore finché resta premuto il pulsante di scatto. In questo caso è consigliato l'uso di un cronometro e diventa indispensabile lo scatto flessibile per evitare di trasmettere vibrazioni con la pressione del dito. È inoltre fortemente consigliato l'impiego di un treppiede, poiché le vibrazioni esercitate dal nostro movimento potrebbero influenzare negativamente il risultato finale dell'immagine. 
I modelli recenti hanno introdotto l'impiego di tempi intermedi, ma generalmente è un'operazione riservata alla modalità di utilizzo in automatico o semi-automatico (priorità di tempi o diaframmi). 

Utilizzo della posa B
La posa B è particolarmente utile al fotografo quando le condizioni di illuminazione risultano critiche, come ad esempio nella fotografia notturna. L'utilizzo del tempo B è impiegato quando si catturano fulmini e lampi, ma anche le stelle, la luna e gli astri in generale; nondimeno risulta efficace per ottenere particolari effetti con la luce come "le strisciate" tanto care al maestro Picasso.



Contax 167mt w/ Carl Zeiss Planar 50 f/1.4
Fujifilm Superia X-Tra 800, Bulb


Yashica FX-3 Super 2000 w/ Yashica ML 50 f/1.9 c
Kodak Ektar 100, Bulb
Contax 167mt w/ Carl Zeiss Planar 50 f/1.4
Fujifilm Superia X-Tra 800, Bulb
Il tempo T
Quando si utilizza il banco ottico, è possibile riscontare un tempo supplementare indicato con la lettera T. Svolge una funzione del tutto simile alla posa B, ma si differenzia per avere il blocco automatico dell'otturatore senza dover tenere premuto in maniera costante il pulsante di scatto. Per disattivare il tempo T sarà quindi sufficiente sbloccare il meccanismo che mantiene aperto l'otturatore.


Obiettivo Rodenstock (otturatore centrale) con tempo T segnato in verde.
fonte: kor-astro.net






lunedì 9 giugno 2014

Lezioni di fotografia #17 - Tempo di sincronizzazione

Una vecchia Nikon con il suo particolare flash "a bulbo"
fonte: The Keh Camera Blog


Con tempo di sincronizzazione (o syncro-X) s'intende un tempo "standard" con il quale è possibile sincronizzare la velocità dell'otturatore con il flash elettronico. In molte fotocamere è espressamente segnalato sulla ghiera dei tempi con un colore differente rispetto a tutti gli altri.



La Nikon FM3a ha un tempo di sincronizzazione pari a 1/250 di secondo.

Solitamente, gli otturatori a scorrimento orizzontale lavorano con un tempo standard di 1/60 di secondo, mentre quelli a scorrimento verticale lavorano con un tempo più veloce (spesso 1/125 di secondo). Nelle macchine più recenti, laddove sia presente un flash integrato, la regolazione del tempo è generalmente automatica, mentre in quelle più vecchie deve essere eseguita dal fotografo previa analisi dei valori esposimetrici e del tempo di syncro previsto dalla fotocamera.
Le fotocamere che montano un otturatore di tipo centrale hanno il vantaggio di poter sincronizzare il flash con un tempo qualsiasi dell'otturatore, facilitando enormemente il lavoro del fotografo.





giovedì 15 maggio 2014

Lezioni di fotografia #16 - L'otturatore





Nel lontano 1826 a Niépce furono necessarie ben otto ore di esposizione per ottenere la prima immagine fotografica. Oggi, grazie all’elevata sensibilità delle pellicole, per la stessa immagine basterebbero frazioni di secondo ed in condizioni particolari di illuminazione potremmo ipotizzare un tempo di 1/1000 di secondo ed oltre. Ma come si può esporre una pellicola per un tempo così breve e in un modo così preciso? Tutto questo si ottiene grazie ad un meccanismo chiamato otturatore, che può essere sia ti tipo meccanico sia di tipo elettronico (da non confondere con quello utilizzato nel mondo del digitale). Esistono due tipologie di otturatori, l’otturatore a tendina e l’otturatore centrale, ognuno con dei punti di forza, il cui utilizzo è generalmente condizionato dal tipo di apparecchio sul quale vengono montati. Vediamo di conoscerli più da vicino.

Otturatore a tendina
L’otturatore a tendina si colloca all’interno del corpo macchina, direttamente sul piano focale e davanti alla pellicola.
Assieme al dorso dell’apparecchio è il congegno in grado di riparare costantemente dalla luce l’emulsione, salvo il momento in cui il fotografo preme il pulsante di scatto.
In questo caso, l’otturatore è in grado di aprirsi per un tempo pre-determinato, durante il quale la luce “investe” la pellicola. Tale modello prende il nome da due tendine costituite originariamente da una tela gommata a tenuta di luce (ancora in uso nelle Leica M), oggi sostituita da lamelle in metallo che ne ricalcano comunque i movimenti. Eccoli in dettaglio:

Ipotizziamo di scattare una fotografia con un tempo di esposizione pari a 1 secondo (1”).

  • Al momento dello scatto, la prima tendina si apre spostandosi dall’alto in basso scoprendo interamente la pellicola.
  • Esattamente dopo 1 secondo (1”) dall’inizio del movimento della prima tendina ne parte una seconda che, sempre dall’alto verso in basso, chiude l’otturatore coprendo la pellicola.

Otturatore di una Yashica FX-3 Super 2000 (1986)

Un otturatore a tendina verticale prodotto dalla Copal (tempi meccanici 1-1/2000")



Noterete che la zona che viene scoperta per prima (quella superiore) è anche la prima a chiudersi, garantendo così un identico tempo di esposizione in qualsiasi punto della pellicola. Se effettuate una prova con la vostra macchina noterete inoltre la straordinaria velocità delle tendine. Effettuato lo scatto, agite sulla levetta per caricare la pellicola ed osserverete il movimento, questa volta dal basso verso l’alto, delle tendine che, restando ermeticamente chiuse, si riportano in posizione precedente, pronte per la prossima esposizione. Da qui deriva l’espressione “armare l’otturatore”, cioè ricaricare per essere di nuovo pronti per il prossimo scatto.

Con un tempo di esposizione lungo come quello dell’esempio, la pellicola resta completamente scoperta. Questo avviene anche con tempi più brevi ma, accorciando drasticamente l’esposizione, il movimento delle due tendine si fa più ravvicinato, tanto che la seconda parte quando la prima non ha ancora concluso la sua “corsa”.
In questo caso la pellicola viene esposta mediante una “finestrella”, di lunghezza costante, che scorre dall’alto verso il basso, la cui larghezza è determinata dal tempo di esposizione e che si riduce ad una feritoia impercettibile per tempi ultra-rapidi. 
Il modello più diffuso è l’otturatore a tendina a scorrimento verticale che, lavorando sul lato più corto del formato (24mm invece di 36mm), consente di arrivare a tempi di esposizione brevissimi (fino a 1/8000 di secondo).
Altre macchine montano un secondo tipo di otturatore in cui lo scorrimento delle tendine avviene orizzontalmente - cito sempre il caso Leica M - tuttavia si tratta per lo più di apparecchi fuori produzione. Solitamente, questa tipologia offre un tempo massimo di 1/1000 di secondo ma il principio di funzionamento è identico a quello sopra descritto.




Una nota su otturatori meccanici ed otturatori elettronici
La vera differenza tra queste due versioni di otturatore non riguarda il loro funzionamento bensì la meccanica di attivazione. Il concetto è molto semplice: nel primo caso l’otturatore è completamente comandato tramite un complesso meccanismo di molle ed ingranaggi che permette un movimento esente dalla batteria. Il maggiore pregio dell’otturatore meccanico è facilmente intuibile: per funzionare non necessita di un circuito elettrico ed è quindi utilizzabile anche senza una fonte di alimentazione.
La seconda versione, sensibilmente più recente, è invece dipendente dall’utilizzo di batterie, che gestiscono l’apertura e la chiusura tramite un circuito elettrico talvolta accoppiato ad un microprocessore che ne calcola l’esposizione. Il pregio maggiore dell’otturatore elettronico è dato da una precisione senza eguali, difficilmente raggiungibile dalla controparte meccanica, ma il grande difetto è presto detto: senza batterie non sarà possibile eseguire alcuno scatto.

Otturatori “ibiridi”
Nel corso degli anni sono stati commercializzati una terza versione di otturatori che io sono solito a definire “ibridi”: si tratta di otturatori che sono gestiti elettronicamente dal microprocessore ma possono presentare uno o più tempi meccanici e quindi funzionanti anche senza batterie. Il così detto “tempo di sicurezza” è in fatti un tempo di otturazione che può essere utilizzato anche quando la pila della fotocamera è scarica o assente. Alcuni esempi sono dati dalla Leica M7 (con due tempi di meccanici pari a 1/60 e 1/125 di secondo), la Leica R4 (con un tempo di 1/100) o la straordinaria Nikon FM3a (con un range di tempi che va da 1 a 1/2000 di secondo utilizzabile con o senza batterie).

Otturatore centrale
Il secondo tipo di otturatore è quello a lamelle, comunemente detto "centrale". Ha la stessa funzione dell’otturatore a tendina (impedire e regolare il tempo di esposizione della pellicola) ma è costruito in un modo del tutto differente. 
Per prima cosa si osservi la collocazione: esso si trova all’interno (o nell’immediata vicinanza) dell’obiettivo, per cui la sua forma sarà circolare. È costituito da una serie di lamelle molto simili a quelle del diaframma di un obiettivo che, al momento dello scatto, si aprono lasciando passare la luce. Una volta esaurito il tempo di esposizione le lamelle ritornano nella stessa posizione di partenza. È importante ricordare che l’otturatore centrale offre la sincronizzazione del flash a tutti i tempi di posa, che però si limitano sempre fino a 1/500 di secondo.

L’otturatore centrale, oltre ad essere stata la prima tipologia introdotta nei primi apparecchi fotografici, ha riscontato un grande successo soprattutto tra gli utenti del medio e del grande formato (generalmente delle Hasselblad e delle Rolleiflex).


Otturatore centrale di un Altissa Altix (1950)
fonte: 
Analogkamera - A virtual photomuseum





mercoledì 23 aprile 2014

Intermezzo nove - Capolavori italiani





Inauguro la nuova sezione delle fotocamere Ferrania con un vero gioiello, la Condor Ic del 1956, capolavoro dell'ottica e della meccanica firmata Made in Italy!



martedì 25 marzo 2014

Lezioni di fotografia #15 - Formato, corpo macchina, caricamento del film



Ecco un rapido excursus dei primi 3 elementi che caratterizzano le fotocamere analogiche.

Il formato
La prima distinzione che interessa gli apparecchi fotografici riguarda il formato della pellicola. Dagli apparecchi ultra-compatti fino a quelli di grande dimensione, la scelta è piuttosto ampia, ma generalmente possiamo suddividere le fotocamere in sole tre categorie: piccolo, medio e grande formato.
Alla prima categoria appartengono gli apparecchi fino al 35mm, alla seconda quelli che utilizzano pellicole 120 (dal 4,5x6 al 6x9 cm), alla terza quelli per formati superiori (ad esempio le pellicole in lastra).
Se è vero che la prima categoria offre una versatilità senza eguali, è altrettanto vero che i formati superiori offrono livelli qualitativi indubbiamente maggiori, soprattutto per quanto riguarda la resa dei particolari durante l’ingrandimento. Per ulteriori informazioni relative al formato delle pellicole è possibile consultare questo post.

Il corpo macchina
Il corpo di un apparecchio analogico deve offrire una garanzia assoluta contro le infiltrazioni di luce. Dopo quasi duecento anni dalla nascita della “camera obscura”, la fotocamera si è arricchita di innumerevoli componenti meccanici ed elettronici, ed è ora in grado di velocizzare e semplificare le varie operazioni di lavoro (calcolo automatico dell’esposizione, trascinamento motorizzato del film, ecc.). 
I modelli più recenti (anni ’90) sono più voluminosi dei modelli precedenti poiché venivano progettati con particolare cura all’ergonomia e per alloggiare componenti elettronici più o meno complessi. Al di là del tipo di fotocamera e del suo “grado di innovazione”, nel corpo macchina trovano posto gli elementi principali di ogni sistema fotografico che analizzeremo in seguito.

Caricamento (su apparecchi 35mm)
Generalmente, per accedere allo scomparto interno di un apparecchio è sufficiente sollevare la manopola di riavvolgimento, oppure agire su pulsanti laterali al dorso.
Una volta aperto lo sportellino si può notare sulla sinistra l’alloggiamento per il rullino. Negli apparecchi recenti è possibile riscontrare dei sensori per la lettura dei codici a barre impressi sul barilotto (DX code). Questi codici, definiti Digital IndeX, permettono di settare automaticamente la sensibilità della pellicola per i circuiti esposimetrici della fotocamera; è presente in moltissimi apparecchi costruiti dal 1983.
A destra sono presenti i congegni di agganciamento della pellicola, che possono essere provvisti del motore di trascinamento a seconda dei modelli.
In questo caso, è sufficiente posizionare la parte terminare della pellicola (detta “codino”) in corrispondenza della tacca di riferimento e chiudere il dorso della macchina. Premendo il pulsante di scatto, il motore trascina la pellicola fino al primo fotogramma utile.


Una Nikon F70 motorizzata. Non sono presenti tasti o manopole di riavvolgimento. Per accedere al dorso è necessario azionare la levetta sul lato sinistro del dorso. L'avanzamento del film è automatico.

Nelle fotocamere motorizzate è presente una tacca che indica la posizione corretta con cui va inserita la codina del film.

Negli apparecchi privi di motorizzazione, la parte stretta della pellicola va inserita nel rocchetto, controllando il corretto inserimento dei “denti” negli sprocket holes. Dopo aver dato la giusta tensione alla pellicola per farla aderire, si può richiudere il dorso e scattare due o più fotogrammi a vuoto. Se la manopola di ravvolgimento gira regolarmente, vuol dire che la pellicola è ben agganciata.
Mentre nei modelli motorizzati il film viene fatto avanzare in automatico, nelle macchine tradizionali è necessario agire sulla leva di avanzamento. Un grande vantaggio offerto dalla motorizzazione è la possibilità di eseguire scatti a raffica, la cui velocità dipende dall’architettura del modello scelto (in media da 3 a 5 fps). 
Terminato il rullino, la pellicola deve essere riavvolta nel barilotto metallico. Se disponete di un apparecchio motorizzato si può riavvolgere il film premendo un apposito pulsante: l’azione avviene automaticamente senza particolari premure. Se invece disponete di un apparecchio tradizionale occorre sganciare la pellicola mediante un pulsante posto sul fondello della macchina e agire sulla manopola di ravvolgimento.


Per accedere al dorso di una fotocamera tradizionale (non motorizzata) occorre sollevare la manopola di riavvolgimento fino a quando il dorso si apre con un 'click'.

La codina del film va inserita nel rocchetto nella parte destra della fotocamera. 

Dopo aver girato la leva di carica, il film si avvolgerà attorno al rocchetto. Assicurarsi che la codina sia ben fissata nella fessura, e prestare attenzione che gli sprocket holes siano ben agganciati ai denti di trascinamento.

Se il rocchetto sembra alloggiare correttamente il film e la manopola di riavvolgimento gira senza problemi, allora il caricamento è andato a buon fine. 

Una volta terminato il rullino, premere il pulsante sul fondello per staccare il rocchetto dal meccanismo di avanzamento. 

Girare la leva per riavvolgere la pellicola nel suo barilotto. Assicurarsi di aver riavvolto TUTTA la pellicola (non aprire il dorso prima del completo riavvolgimento del film). Ora si può riaprire il dorso ed asportare il rullino. 

Il dorso
Il dorso di una fotocamera ha la duplice funzione di chiudere ermeticamente alla luce e di mantenere la pellicola piana su una piastrina detta pressore. Per evitare ci siano eventuali infiltrazioni di luce è necessario sostituire periodicamente le guarnizioni di gommapiuma (io consiglio almeno ogni 10 anni a seconda del grado di usura). La pulizia è fondamentale, infatti è auspicabile mantenere il proprio apparecchio ben pulito in ogni parte, con particolare riguardo alle zone interne e alle giunture. 

Alcuni dorsi sono dotati di una finestrella a tenuta di luce per controllare il tipo di pellicola montato dentro la fotocamera; altri si limitano a presentare una tasca dove inserire un promemoria cartaceo (spesso un aletta della scatolina della pellicola). I dorsi più evoluti, come ad esempio quello montato sulla mia Contax, sono detti dorsi data (databack) e permettono di imprimere (“stampare”) sul fotogramma delle informazioni relative allo scatto (data, ora, note personali). Naturalmente, le funzioni di programmazione dei dorsi data sono liberamente disattivabili dall’utente. 



La finestrella serve per indicare la pellicola impiegata nella fotocamera


lunedì 3 marzo 2014

Lezioni di fotografia #14 - Il 35 millimetri



Il 35 millimetri è il formato di registrazione più utilizzato nel cinema e nella fotografia analogica.
Nel cinema, la pellicola 35mm viene proiettata ad una velocità costante di 24 fotogrammi al secondo, con un massimo di 52 fotogrammi ogni metro di pellicola impiegata. Questo significa che in un film della durata di 1 ora e 30 minuti la pellicola può raggiungere la lunghezza di ben 2,5 Km!
Dalla pellicola cinematografica è derivato il formato fotografico 135 che ne conserva la stessa perforazione (i così detti "sprocket holes") e offre un formato di fotogrammi pari a 24x36mm.

Il successo del 35mm lo si deve ad tecnico tedesco, Oskar Barnack, l'inventore della celebre macchina fotografica Leica. Una volta presa una bobina di pellicola cinematografica (la famosa "pizza") costruì in piccolo contenitore metallico simile ad un barilotto dove immagazzinare una piccola striscia di supporto sensibile. Questo ha permesso di maneggiare con sicurezza l'intera striscia di film, protetta dalla luce esterna nelle operazioni di caricamento e scaricamento dalla fotocamera.
Era il 1914 e il mondo si preparava ad una vera e propria rivoluzione: il nuovo formato 135 in abbinata alla prima macchina fotografica del genere, la Ur-Leica ("Leica originale") avrebbero cambiato le sorti del settore fotografico mondiale.
Non si può fare a meno di ricordare in questa sede che proprio quest'anno cade l'anniversario della Leica (e del formato foto 135), un Giubileo caratterizzato da eventi e rimembranze di rilievo internazionale. 
Chiusa questa doverosa parentesi, continuiamo a parlare del 135. Questo formato è particolarmente indicato per un uso generico ed è praticamente usato da tutti i dilettanti e da una grande fetta di professionisti (almeno per le applicazioni meno complesse). La leggerezza ha reso l'attrezzatura molto più flessibile rispetto a quella più complessa del medio e grande formato. Tra gli svariati usi del 35mm si ricordano le foto di reportage e di giornalismo, grazie alle caratteristiche peculiari sopra citate.
Fino agli anni Novanta del secolo scorso i maggiori produttori di pellicole fotografiche erano: Agfa, Berger, Eastman Kodak Company, Efke Fotokemika, Ferrania, Foma, Fujifilm, ILFORD, Orwo e Rollei*. 


Logo commemorativo del centenario Leica (1914-2014)

Al momento, a causa del crollo della domanda e all'aumento del costo delle materie prime, la produzione delle pellicole fotografiche e cinematografiche ha subìto un consistente ridimensionamento, soprattutto a causa del digitale. Il 2005 è stato l'anno in cui simbolicamente si dichiarava morto l'analogico a favore delle nuove tecnologie.
In realtà, seppur in forma ridotta, l'analogico continua ad esistere affiancato al digitale, rivolto agli amanti del genere (soprattutto fotoamatori) o a particolari cerchie professionali.
Negli ultimi cinque anni alcune grandi aziende produttrici di materiali fotosensibili hanno attuato piani per il ridimensionamento degli apparati produttivi (vedi Kodak e Fuji) ma altre ancora hanno deciso di investire nuovi capitali nella ricerca o nella produzione (vedi Lomography, Ferrania, Kentmere e Rollei). Se la domanda della diapositiva e del negativo colore è lentamente scemata negli anni presi in esame, è altrettanto vero che la domanda per il bianco e nero (pellicole e carte) sembra che si sia stabilizzata da almeno vent'anni. 



*questo elenco non costituisce la totalità dell'offerta.



mercoledì 19 febbraio 2014

Intermezzo sette - Nuova sezione Canon

Inauguro la nuova sezione dedicata alle Canon con la mitica T50 del 1984. 
Buona lettura!









venerdì 14 febbraio 2014

Lezioni di fotografia #13 - Latitudine di posa



Il nostro occhio è un organo dalle capacità straordinarie: esso è in grado di distinguere e leggere nella stessa scena le zone fortemente illuminate e le zone in ombra.
Quante volte abbiamo provato a fotografare un tramonto dai colori bellissimi che, una volta stampato, risultava decisamente più spento. La pellicola, infatti, non ha la capacità di estendere contemporaneamente la registrazione alle zone così decisamente illuminate, col risultato di rendere indistinguibili i particolari illuminati o viceversa.

Si dice latitudine di posa, la capacità della pellicola di raggiungere a livelli più meno estesi le zone con differenti illuminazioni.

In altre parole, la latitudine di posa è l'errore tollerato rispetto all'esposizione fatta. Poiché capita spessissimo di dover fotografare soggetti con illuminazioni diversificate, la pellicola va scelta anche in base a questo parametro. Se si conoscono i comportamenti e i limiti delle pellicole è possibile condizionare l'esposizione privilegiando le basse o le alte luminosità. 
La tipologia di film con la più elevata latitudine di posa è il negativo.
Le diapositive, invece, hanno una tolleranza molto meno marcata e sono quindi più difficili da adattare all'illuminazione. Infine, la latitudine di posa cresce con l'aumentare della sensibilità della pellicola. Di seguito è riportata una tabella di sintesi sulle principali caratteristiche delle pellicole fotografiche:

PELLICOLE A BASSA SENSIBILITÀ
Grana: piccola / molto piccola
Contrasto: alto
Latitudine di posa: bassa
Nitidezza: buona / ottima

PELLICOLA AD ALTA SENSIBILITÀ
Grana: grossa / molto grossa
Contrasto: basso
Latitudine di posa: alta
Nitidezza: bassa / molto bassa

VELOCITÀ DELLA PELLICOLA (espressa in ISO)
Bassa: 25-64
Media: 100-200
Alta: 400-1000
Altissima: 1600-3200